Pensieri sparsi sulla pasta a sfoglia, sfoglini in camicia e il tempo che manca

Nel mese di febbraio, io e il mio fido compagno di squadra Daniele (leggi qui per capire chi siamo) ci siamo imbarcati in una nuova avventura, il corso per sfogline* organizzato dalla Pro Loco di Zola Predosa.
————————————————————
[Piccola digressione da tecnico linguista]
Vivendo a Bologna ho capito che la città è viva, sanguigna, autentica, tanto che i suoi abitanti usano termini specifici per dare un nome a tutto ciò che è insito nel DNA della città stessa. Qui ho trovato parole nuove, espressioni gergali che ti entrano nella pelle e non ti lasciano più, perché non esistono modi migliori per esprimere il concetto. *Sfoglina è una di queste: la sfoglina è la signora che tira la pasta a sfoglia, definita con un termine precisissimo perché qui tirar la sfoglia è davvero un affare serio.
[Fine della digressione]
————————————————————

Sin da quando ho memoria, ricordo la Nonna Lilia tirare la sfoglia. Specialmente a ridosso delle occasioni speciali, la sua sala da pranzo cambiava completamente volto, il tavolo veniva ricoperto da una grande asse di legno e da tutti gli ingredienti che servivano allo scopo. La Nonna riusciva a tirare queste sfoglie perfette, enormi, sottilissime. E lo faceva davvero come se fosse un gioco da ragazzi, sempre gli stessi esperti movimenti, affinati sin da quando, ragazzina di dodici anni, aveva imparato per far trovare la pasta fresca al suo nonno di rientro dal lavoro in campagna. Volevo portare avanti la tradizione di famiglia e il corso è stato senza dubbio il modo migliore per riuscire a fare un po’ di pratica e riprendere in mano tutti gli insegnamenti della Nonna.

Carica di questo entusiasmo, mi sono iscritta al corso organizzato dalla Pro Loco di Zola Predosa, e ho ovviamente coinvolto Daniele, perché certe cose fatte in due hanno tutto un altro sapore.

Siamo stati accolti da Rina e Carmen, due sfogline D.O.C. che ci hanno guidato passo passo nell’impresa, con quel misto di gentilezza e severità che solo una nonna può avere. Con loro un terzo professore, Cristian, che – fortunatamente – interveniva oltre che coi consigli, anche con una dose di olio di gomito in più.

UNADJUSTEDNONRAW_thumb_4fa5

Da queste tre lezioni, ho imparato:

  1. Che è sempre bello conoscere persone nuove, scambiare un sorriso, ascoltare la loro storia e raccontare la propria. Sono nate conversazioni ‘da mattarello’ molto piacevoli che mi hanno scaldato il cuore.
  2. Che le sfogline possono essere anche sfoglini (e anche sfoglini in camicia). Ho osservato la cura e la maestria messa in campo da Cristian e mi sono stupita nel vedere gli stessi sapienti movimenti della tradizione ripetersi ancora una volta. Ho potuto anche constatare la cura e l’attenzione che Daniele metteva nel seguire le istruzioni, cosa che gli ha permesso di ottenere un risultato praticamente perfetto, ‘l’uovo di Colombo’, come lo hanno chiamato scherzosamente le nostre maestre. A detta loro, gli uomini sono molto più precisi. Buono a sapersi, per il prossimo Natale so già chi assoldare.UNADJUSTEDNONRAW_thumb_4fa3
  3. Che sarebbe bello poter iniziare, nel nostro piccolo, una decrescita felice. Ricominciare a fare le cose in casa, cercando di dedicare un po’ di tempo libero alle attività domestiche intese come cura del proprio spazio personale, con più attenzione a quello che si compra e a quello che si mangia. Ovvio che saranno più le volte in cui questo non sarà possibile, però è bello sapere che esiste anche questa possibilità e che noi abbiamo gli strumenti per poterci provare.
  4. Che a volte abbiamo un’idea distorta dell’impegno che ci richiedono le cose. Ero convinta che impastare e tirare la sfoglia a mano richiedesse impegno, sforzo e tempo, che implicasse confusione in casa. Nulla di tutto ciò è vero. Ci abbiamo impiegato un tempo relativamente breve noi, principianti assoluti, figuriamoci una volta acquisita un po’ di esperienza. Vale la pena di provare, vale la pena prendersi del tempo per dedicare cura al cibo, per mettere più attenzione in ciò che consumiamo. Considerando poi che questi lavori danno l’occasione di trovarsi e chiacchierare, assumono un valore ancora più bello, quello di riunire la famiglia attorno ad un tavolo, quella di abbandonare gli schermi e le connessioni sempre e comunque. Che poi, a ben pensarci, anche questa è una connessione: è riconnettersi con le proprie origini, con le proprie tradizioni e, in definitiva con la propria essenza.

Condividi